(Guido Monte, maestro di metamorfosi, ci manda la sua personale trasformazione del racconto di Anton Checov)

 


un padiglione abbandonato dell’ospedale,

dentro un bosco di lappole, il tetto arrugginito,

il camino a pezzi,, i campi verdi che guardano

e invadono questo carcere triste.


e mucchi enormi di rifiuti d’ospedale.

e nikita, il custode-infermiere ottuso,

che colpisce per far male,

picchiare

l’unica via per lui possibile

per mantenere un presunto ordine.

e cinque malati, pazzi, seduti sul letto.

e uno parla in buona fede della bassezza umana,

del sogno di un mondo diverso

e di una vita che non ci sarà mai,

(come tanti politici quando

mentono sapendo di mentire).

un altro parla delle tante croci al merito

ricevute da capi di stato,

(come i tanti “normali” che si vantano

di immaginari riconoscimenti ricevuti

in virtù di presunte doti eccezionali).

e ogni giorno ritorna uguale,

il tè, e la zuppa di legumi

all’ora prefissata.

andrèj efimyc è il dottore, e non ha cura di sé.

in ospedale non viene tutti i giorni,

tutto l’annoia, anche se continua

a comprare qualche libro di filosofia.

per lui nel mondo tutto è insignificante

e la vita è una scomoda trappola:

il passato da  dimenticare,

il presente pieno di sporcizia e malattia,

tutto è vanità, tutto è uguale.

ed il vice, evgènij fëdorovic, vuol soffiargli il posto.

ivàn dmitric invece, uno dei matti,

accusa efimyc perché sani e matti sono uguali,

eppure i sani possono passeggiare e vivere

e i matti sono i malati prigionieri…

lo accusa per una disperata

e improvvisa volontà di vivere.

ma è dipeso solo dal caso, nota il dottore,

è stato solo un caso, qualcuno

in carceri e manicomi deve pur starci,

tutti moriamo e dio non c’è,

spiega il dottor efimyc…

è facile parlare così, risponde ivan,

se non si è mai sofferto veramente.

ma ormai tutti sparlano del fatto

che il dottor andrèj efímyc va sempre

nellla sala numero 6, a parlare

con un paziente, e senza prescrivere niente.

il collega chòbotov vuole rovinarlo…

allora efimyc si mette a viaggiare con l’amico

michaíl aver’jànyc, ma passa il tempo

del viaggio coricato nei divani

delle camere d’albergo, e regala a michaìl

gli ultimi suoi cinquecento rubli,

perché l’amico ha perso al gioco;

quando tornano a casa

nel frattempo il collega l’ha sostituito,

ed efimyc ha perso il posto.

ormai è dentro un cerchio incantato.

alla fine lo portano alla corsia dei pazzi,

gli consegnano una veste da camera,

e le pantofole. efímyc li indossa indifferente

e guarda i campi alla finestra.

capisce di essere troppo debole

e che deve uscir fuori, andar via…

si avvia in fretta verso l’uscita,

ma l’infermiere nikita lo ferma

e gli spacca la faccia,

e lui capisce allora tutto il male

che ogni paziente della corsia

doveva aver sofferto per anni e anni

in quel luogo di dolore.

poi di sera muore, un colpo apoplettico.

un brivido, nausea: colori, qualche visione,

poi scompare tutto per sempre.

il suo cadavere, nella cappella,

 

è illuminato dalla luna.

 

 

(Guido Monte insegna Lettere al Liceo classico “Giovanni Meli” di Palermo; e crede, nonostante tutto, che possano ancora esistere parole d’insegnamento. Negli ultimi tempi si è occupato di multilinguismo e di contaminazione poetica, nel tentativo di scoprire legami più profondi tra le diverse culture del mondo).


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