Al telefono si percepiva il malumore e qualche battuta scambiata con la segretaria mi ronzava ancora in testa: “Sì, vedrai, si tratterà della solita giornalista tipo, di una cretinetti, insomma”. Eh, no, signora Franca, si sbaglia proprio! Non sono giornalista.

Faccio l’insegnante, ma non mi andava di dirlo perché lei ha iniziato la sua carriera proprio imitando un’insegnante, “la signorina Gisella De Amicis, professoressa di ginnasio. Quella io sono, la prof di un liceo classico. Oppure avrei potuto rammentarle la maestra di seconda elementare, “una mite donna anziana con due cognomi, che in classe si metteva un grembiule nero che teneva appeso dietro la cattedra, sotto il crocifisso, il re e il Duce”. Dunque preferisco venire da lei fino a Trevignano Romano fingendo di essere quello che non sono.

Sul treno mi invento un’emittente televisiva, Funny moon, che assegna un oscar di luna alle rappresentazioni più belle, e scrivo alcune domande sul suo spettacolo recente con Urbano Barberini “Oddio mamma! Un improbabile carteggio”. Non ho visto nemmeno una scena rubata da youtube. Mi impegno a formulare delle sciocchezze. Per dirla tutta mi sono messa in viaggio per un solo motivo. Quel libro là, la sua autobiografia, io l’ho divorata. Lei ha la capacità di raccontare una vicenda artistica e umana oggettivamente straordinaria (la sua) con un tono fieramente dimesso, defilato:

“Sono attualmente in un tunnel ossessivo. Sconosciuti di ogni genere mi informano che tra poco compirò novant’anni … Posso asserire con certezza che in questi pezzi di secoli vissuti non mi sono mai annoiata. Questo non dipende dalla vivacità dei tempi, ma da cosa si intende per divertimento o divagazione. Che è sostanzialmente una forma costante di partecipazione, il contrario esatto della noia. Per quel che mi riguarda è nella banalità della vita quotidiana che trovi il tuo clown ….”

Leggendo avidamente ogni pagina, ho avuto la sensazione che abbia voluto riassumere le sue priorità in poche splendide righe, servendosi della sintesi alla stregua di un’antica e ormai sconosciuta disciplina:

“A vent’anni era affondare il fascismo, a trenta avere in pugno il teatro, a quaranta tutto, a cinquanta occhiali e quasi tutto, e … eccomi!”

I ricordi si muovono veloci senza un apparente ordine cronologico e si riconoscono in armonia grazie a una scrittura raffinata e preziosa. Di uno stile franto, essenziale e ironico ne avevo proprio bisogno, mi corrisponde: un solo capoverso è capace di scoperchiare interi mondi. Così descrive il fascino della Scala ai suoi occhi trepidanti di bambina, segno di un evidente destino:

“Certamente appena mi affacciavo quella magica sala mi riempiva gli occhi. Emergevano volpi bianche, spiccava un lamé d’oro proprio sotto di noi e il bianco e il nero degli uomini … Dal golfo mistico della scena la fabbrica dello spettacolo. Vedevo entrare a poco a poco l’orchestra, mi sembravano amici … dietro il grande sipario si sentiva un brusio attutito, il respiro delle quinte, forse si stava sistemando il coro, forse si inchiodava ancora una scena e questa attesa mi metteva ansia, avrei chiamato io il maestro pur di calmarmi. Eccolo, l’orchestra in piedi, l’applauso. Basta, cominciamo. Di qua c’eravamo io, il maestro, l’orchestra, il palcoscenico; di là il pubblico, le volpi bianche, gli ermellini ingialliti, i gioielli e i profumi. Era il mio debutto.”

Signora Franca, questi suoi ricordi, che arrivano improvvisi, descrivono meglio dei libri di storia il nostro secolo, il mio e il suo. Lei definisce la sua una generazione decimata, ma ancora impreparata alla mancanza di regole: è chiaro che il mondo di oggi le  piace poco (“è stata veloce la presa di coscienza di questo impossibile collocamento in tanta sregolatezza”). Molte le virtù (virtus nel senso proprio di qualità forti e virili) che emergono dalla tradizione ebraica di suo padre: la competenza, l’educazione, la riflessione, la libertà mentale. Ma io ho preso il treno e sono venuta fin qua perché letteralmente commossa dalla fedeltà e dalla passione che ha dimostrato al lavoro, al teatro, agli amici e alla vita:

“Il proprio lavoro è quel meraviglioso individuo (dai più odiato) che ci accompagna. È stato per me generoso, ma pretende. È giusto … Ho ancora molti amici, continuo ancora a pensare che l’amicizia sia un bene primario e necessario ….”

Finalmente arrivata, prendo un taxi e sono da lei. La signora Franca mi aspetta seduta con in braccio il suo adorato cane Roro IV, compagno di chiacchiere notturne. Fingo spavalderia, ma in realtà mi sembra di essere come l’Albertone nazionale nel film Il vedovo: un’emerita cretinetti. Mi siedo e l’intervista scorre inaspettatamente veloce, finché le rivolgo l’ultima domanda: “Le piace la poesia? Quali sono gli autori che preferisce?”.

Mi fulmina con lo sguardo.

“Lei non è una giornalista, vero?”

“No”.

“Vede, di libri ne arrivano a fiotti, soprattutto di attori che scrivono. Ormai è passata l’età in cui non vedevi l’ora di tornare a casa per leggere. È segno di gioventù. Ma la poesia è sempre stata per me un modo difficile di affrontare la realtà. Ricordo solo le poesie che mi hanno toccato per la loro spontaneità. Mi smuovono quelle la cui semplicità mi dice cose profonde: un po’ come andare alle origini, Omero, gli antichi che sono dei futuristi, degli sperimentatori. La parola non è solo un dono, è un lavoro di cervello, è un’esperienza”.

Torno a casa con la sensazione che la signora Cecilia, madre della Valeri, avesse proprio ragione.

“La Franca non è bugiarda, è reticente”.

Nel suo libro, di ricordi ne ha messi solo la metà …

franca valeri

Franca Valeri, Bugiarda no, reticente, Torino, Einaudi, 2010, € 17.

 

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