Rino Tripodi vive a Bologna, dove insegna Lettere nelle scuole medie superiori (ha pubblicato tra il 1994 e il 1995 tre manualetti scolastici per la Pragma di Bologna). È direttore responsabile di “LucidaMente”, rivista telematica di “cultura ed etica civile”, al suo quinto anno di vita.
Per la inEdition ha scritto ultimamente una ricerca “religiosa” alle origini del Male e del suo mistero, (“Decomposizione di Dio. Un racconto e cento apologhi gnostici tra Kafka e Cioran”), e la fiaba “Il mistero dell’Impero Azzurro”.
Se un bambino ti chiedesse: “Cos’è il male?”, cosa risponderesti?
Io amo i bambini e gli animali: perciò non risponderei a una simile domanda… tergiverserei e farei una passeggiata all’aria aperta con loro.
Quale idea ti sei fatto sulle origini del male?
Non una, ma le tante ipotesi che trovi in “Decomposizione di Dio” e che riprendono le tesi gnostiche (ma anche di altre religioni): è suggestiva soprattutto l’idea di un Dio-demiurgo malvagio o, se esiste un Dio buono, egli è impotente rispetto a una forza che probabilmente è separata da lui. Tutti gli scrittori, gli artisti, si sono posti il problema e, di fronte ad Auschwitz o al dolore di un bambino, non possono accontentarsi di interpretazioni rassicuranti. L’orrore e la sofferenza sono gli stimoli e gli strumenti filosofici più efficaci e “veri”.
L’uomo ha un barlume di spazio decisionale rispetto al male?
Certo, ma il male è più potente e annientante e comunque, se è dentro il demiurgo, lo è pure dentro ciascuno di noi. Come si legge nella quarta di copertina di “Decomposizione di Dio”, “il buio accerchia l’esistenza e la strazia, rendendo fioca e comunque impercettibile la voce umana”. In ogni caso, tutto è fragile e precario.
In “Decomposizione di Dio” appaiono visioni apocalittiche, miraggi in deserti abbacinanti e l’inferno in agguato dietro la natura; ne “Il mistero dell’Impero Azzurro” è come se lo spazio si dilatasse dal particolare (il lago, i funghi, il bosco) all’universo intero (galassie, cosmi, nebulose). Qual è il rapporto, nei tuoi scritti, tra letteratura, visione e metafora?
La mia letteratura (se così si può definire) è più fondata sulla vista e sull’immaginazione che sulla “scrittura”. Ne consegue che la visione è epifania, illuminazione. Come i simbolisti francesi della seconda metà dell’Ottocento, ritengo che la “Natura” ci invii messaggi misteriosi che, almeno in determinati stati d’animo, ci colpiscono, ci fanno capire la straziante e meravigliosa condizione, nostra e dell’universo. Così come la musica, la più eterea e impalpabile delle Arti. Sapessi dipingere o suonare, forse non scriverei. I sensi come l’olfatto, il gusto, il tatto, l’udito, la vista (ma non quella attenta e controllata, bensì quella torpida), per non parlare dell’eros, permettono di conoscere la realtà, di entrarvi, molto meglio delle qualità “inferiori” dell’uomo: l’intelligenza, la ragione o ancor peggio, la razionalità, la riflessione e la maledetta “voglia di capire”.
Il tema della conoscenza ha un peso preponderante. Una conoscenza che va di pari passo con la non-conoscenza. Si può dire che il tuo libro sia un omaggio alle possibilità?
Tutto è possibile. L’orizzonte degli eventi, delle possibilità, è infinito: peccato che durante la nostra breve vita ci capiti di assistere solo raramente a qualche “bel miracolo”, che riguardi noi come individui o l’umanità intera.
Mr Mister, il protagonista de “Il mistero dell’Impero Azzurro”, è l’agente segreto più famoso del mondo, ma è un agente atipico: un normale ragazzino «né alto, né basso, né grasso, né magro», dotato però di una grande sensibilità. Una sensibilità intesa come curiosità da fanciullino pascoliano ma anche come il potere di sentire ciò che lo circonda. Ritieni che la nostra epoca sia povera di questo genere di sensibilità o che si tratti di una mancanza che travalica la storia?
Ritengo che la nostra epoca abbia travolto anche quella sensibilità, che, pur vilipesa e balbettante, pur celata e minoritaria, costituiva comunque una speranza per l’umanità e un valore condiviso da molti. Oggi la volgarità, la brutalità, la violenza non sono solo tollerate, ma assunte come valori, quando non positivi, certo “necessari”. È il parto disastroso della comunicazione televisiva, della massificazione, della cosiddetta “globalizzazione”, dell’ignoranza imperante
Quali sono le tue letture di riferimento?
Ogni scrittore che si rispetti quando scrive non fa altro che rimescolare le proprie letture: la letteratura “colta” — e lo pensava Borges per la sua biblioteca di Babele — non è altro che un solo libro. Ho amato Calvino, così come Borges, Kafka, Joseph Roth e tutta la letteratura mitteleuropea, per non citare Camus, Walser, Lernet-Holenia, Daumal, Meyrink, Hrabal, Mishima, Buzzati, la letteratura fantastica con Lovecraft in testa, oltre che i “classici” Pascoli e Leopardi; e i “cattivi maestri” come Evola, Eliade, Guénon, Nietzsche, Cioran, Sgalambro, Gurdijeff… Ma, poiché la mia arte è “visiva”, rimango in estasi di fronte ai film di Tarkovskij, Herzog, Wenders, Greenaway.
I nomi dei protagonisti, ma anche dei luoghi, sono molto evocativi: il Regno Grigio, il colonnello Rapax, Solaris… Se ti chiedessi di trovare un nuovo nome per: l’Italia oggi, la scuola oggi, la superficialità oggi, cosa mi diresti?
I nomi servono per designare qualcosa, non il nulla. Citando scorrettamente Wittgenstein, “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Salvo ovviamente la scuola, che potrei definire come “L’ultima isola” o “L’estrema fortezza dell’umanità”. Il problema è che a volerla distruggere sono proprio le forze che dovrebbero salvaguardarla, permettendo ai docenti di fare quello che sanno e dovrebbero fare: insegnare la propria disciplina mediante un rapporto franco e umano e non essere annientati da riunioni inutili e adempimenti burocratici.
Tu sei un professore di Lettere. Quanto ha influito la tua professione docente con l’attività di scrittore e viceversa?
In entrambe le direzioni, molto poco. In comune le due attività hanno l’amore e la passione che bisogna provare per esercitarle, ma il legame finisce qui. Chi fa l’insegnante di Lettere deve innanzi tutto insegnare a leggere, scrivere, parlare, ascoltare, e poi ad avere rispetto per se stessi e gli altri (che, in ultima analisi, sono valori identici e che vanno a braccetto). Poi viene il tentativo di far amare la bellezza. In ogni caso, sarei uno sciocco se pensassi che un mio scritto possa aiutare a raggiungere tal obiettivi. Occorre modestia, rispetto e affetto per gli allievi; e talora è sufficiente non dimenticarsi del tutto di come anche noi alla loro età eravamo fragili e “stupidi”. L’ironia e l’autoironia possono servire, a volte.
I tuoi allievi hanno letto i tuoi libri? Cosa dicono?
“Decomposizione di Dio” è inadatto a un pubblico giovane, sia per la durezza della Weltanschaung, sia per i riferimenti filosofici, sia per la scrittura, non facilissima. “Il mistero dell’Impero Azzurro” è appena uscito. Pare piaccia. Soprattutto per la fantasia e la leggibilità.
Tripodi è fuori dagli schemi, ragiona e si mette in gioco. Ama l’esistenza più che la vita. Credo possieda un notevole intuito, appunto, esistenziale e lo esibisce con dscrezione e circospezione, secondo dettami squisitamente umani e umanistici.